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"Per noi la Santità
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MATERIALE PER EDUCATORI

IL DIFFICILE RAPPORTO GENITORI-FIGLI 
a cura di Carmelo Impera

Ogni discorso sulla "famiglia" sarebbe incompleto se non riguardasse anche i figli. Però lo stesso discorso resterebbe incompleto all'infinito qualora volesse trattare la psicologia del bambino. Inoltre la psicologia infantile è già abbastanza nota, anche a livello divulgativo, per cui ci sentiamo esonerati dal trattarla. Ci pare più interessante aggiungere alcune riflessioni sui problemi che i figli creano, ai genitori ed alla famiglia, in età adolescenziale.

Ecco dunque una sommaria carrellata sulla problematica degli adolescenti.

L'età considerata va dai 13 ai 19 anni, l'età dei teen-agers, così chiamati perché in inglese, i numeri dal 13 al 19 terminano in "teen". La crisi dell'adolescenza, età critica per definizione, è determinata da tre eventi che, costituendo altrettante perdite, possono ben definirsi "lutti": quello per la perdita del corpo infantile al quale inevitabilmente ci si era affezionati, il lutto per la perdita del ruolo infantile, ed infine il lutto per la perdita dei genitori dell'infanzia e cioé del modo come le figure genitoriali erano state fino a quel momento vissute. La drammaticità insita in questo concetto di triplice lutto va naturalmente ridimensionata perché, a ciascuna di queste perdite, corrisponde una conquista, quindi un punto di partenza per un ulteriore sviluppo verso una progressiva individualizzazione dell'essere umano; per la perdita cioé, del corpo infantile, del ruolo infantile, delle figure genitoriali vissute infantilmente, si ha la conquista di un corpo adolescenziale, di un ruolo adulto, di un incontro con le figure genitoriale in senso più maturo. La perdita del "corpo" infantile. Il mutamento adolescenziale ha la sua massima evidenza sul piano fisiologico. L'eruzione della sessualità è violenta. E' come una palla immersa nell'acqua e improvvisamente liberata: non si limita ad affiorare alla superficie, ma schizza al di sopra di essa. La prima manifestazione della sessualità è l'autoerotismo, una tappa inevitabile; Freud diceva: "se un uomo di venticinque anni dice che non si è mai masturbato, significa che si masturba ancora". Poi lentamente si prende confidenza con l'altro sesso e, superati i normali blocchi dell'iniziale timidezza, si entra in una specie di terreno minato.

Ma che cos'è un terreno minato? Un pericolo solo per il nemico che non sa dove sono nascoste le mine. Ecco il valore dell'educazione sessuale. Gli adolescenti dovrebbero sapere tutto, senza alcuna reticenza, ed al momento giusto, che è quello in cui il ragazzo balbetta timoroso qualche richiesta di spiegazione e quindi si mostra maturo per un'informazione che i genitori non devono lesinare. Solo così si eviterà ogni pericolosa mitizzazione del sesso, e si potrà eliminare quel fascino del proibito e quell'ansia di curiosità che possono sfociare in letture e fantasie con effetto indubbiamente perturbatore; solo così si permetterà ai giovanissimi di incontrare la sessualità nella dimensione più giusta e più ricca: una felice sommazione di affettività e genitalità; quest'ultima infatti non è affatto sinonimo di sessualità: è solo il complemento che l'istinto offre, in termini puramente fisiologici e strumentali, ad un incontro interpersonale che è, inizialmente e sostanzialmente, affettivo, fatto di comunione spirituale, di rispetto, di rinunce, di disponibilità ad ogni tipo di dono; in altri termini di amore. Nel nostro clima socio-culturale, lo psicologo non approva il libero amore, ma sollecita la diffusione di una saggia educazione sessuale; in altre parole auspica non una libertà sessuale, ma una libertà dalla problematica sessuale. La perdita del "ruolo" infantile. Nella vita di tutti c'è il momento in cui ci si sente dire "adesso sei grande", "non sei più un bambino", "ormai sei un ometto" (o una donnina) e frasi simili: sembrano formule con cui si concede un'onorificenza, spesso sono traguardi ambiti da tempo, ma talvolta possono evocare l'immagine di un baratro che si spalanca sotto i piedi. Se qualcuno risente troppo acutamente del possibile stress implicito in queste formule, ne sopporta le conseguenze per tutta la vita: chi non conosce persone che reagiscono con una crisi depressiva ad ogni promozione, ad ogni scatto di carriera, ogni volta che si vedono affidato un ruolo di maggior responsabilità? Sull'uscio dell'infanzia, più o meno bruscamente, ci si accorge di esistere. Esistere è qualcosa di più di essere; è un essere con uno scopo, con il sentimento della propria individualità, con la consapevolezza dell'ambiente, delle difficoltà, delle ambizioni, dei limiti, dell'ansia nascosta dietro ogni angolo e sempre pronta a colpire. Cominciando ad esistere è inevitabile fare un inventario dei propri mezzi; ciò che si scopre di buono non desta stupore perché, sull'onda dell'euforico entusiasmo infantile, si da per scontato che ci sia; ciò, invece, che si scopre di negativo, non si riesce a giudicarlo con serena esattezza, ed assume subito la dimensione di un problema. Ecco allora affiorare infinite motivazioni di inferiorità. Il complesso d'inferiorità, in effetti, non dovrebbe esistere: ognuno di noi può sentirsi inferiore a dieci persone perché, per esempio, quelle hanno una macchina più bella; ma ognuno si consola rapidamente, sia cercando altre dieci persone che posseggono una macchina più brutta, sia scoprendo che, su un altro parametro, si è tutt'altro che inferiori. Questa salutare interferenza del ragionamento manca nell'adolescente: egli percepisce un problema e lo vive con violenta risonanza emotiva senza la forza di contrarlo o ridimensionarlo: statura bassa, naso lungo, famiglia povera, l'acne, ecc., diventano drammi, e della peggiore specie, e vengono vissuti come simboli di destino avverso, se non come schiaccianti condanne senza possibilità di appello. "Ormai devi decidere da te". Sembra facile. Dopo tanti anni passati su un carrello che qualcuno faceva scorrere su un binario, e che su quel binario scorreva godendo i diritti di una precedenza assoluta, all'improvviso ci si trova in mezzo al traffico più caotico, senza binario, con un volante tra le mani, tra gente che pretende che uno se la cavi da sè, e bene, solo perché ormai è un ometto.. Il minimo che possa succedere è che si sbagli. Non è raro che lo psichiatra si senta consultare da dei genitori perché i loro figli sono incostanti, "stuferecci", "vogliono un sacco di cose e poi piantano tutto li". L'incostanza è un difetto nell'adulto, ma la regola nell'adolescente. Quando sentiamo qualcuno dire "abbi pazienza, io sono fatto così" non lasciamoci commuovere: nessuno è fatto in un certo modo; viceversa così ci è diventato, anzi ha voluto diventarci.

Nel corso dell'adolescenza l'individuo tenta tutte le modalità di comportamento (come chi compra una stoffa: prima, ne tocca tante, le guarda alla luce naturale, se le drappeggia addosso, ecc.) alla ricerca di quella che gli giova di più, che è più economica e più conveniente, che gli da più soddisfazioni. Tutti hanno provato ad essere riflessivi o impulsivi, ossequenti o ribelli, disponibili o invadenti, adattabili o pretenziosi, poi ognuno ha ripetuto le esperienze che lo hanno maggiormente soddisfatto, eliminando via via le altre, ed ha finito con il comportarsi nel modo che, tutto sommato, ha preferito e finalmente scelto. Gli istinti sono in noi già alla nascita, ma alcune tendenze del temperamento, e soprattutto gli elementi del carattere, si formano così come noi li vogliamo, attraverso una lunga e spesso sofferta serie di scelte e di esperienze. E' ovvio che, durante queste prove, si proceda a zig-zag, e cioé che si sia incostanti. Un altro incidente non raro nell'adolescenza è la crisi della religione. Anche questa è naturale, essendo la logica conseguenza di un mutamento che l'adolescente si sente imporre sia a scuola che a casa. Prendiamo ad esempio la storia, che viene insegnata tre volte dalle elementari al liceo: prima ci si limita ai fattarelli, agli aneddoti più spettacolari, alla presentazione dei più leggendari conquistatori. Poi si ricomincia daccapo con un appesantimento di dettagli, con una miriade di nomi e di date che, se imparati bene, trasformano lo studente, inutilmente diciamolo pure, in un potenziale concorrente a qualche telequiz. Infine, al liceo, si cambia tutto: basta con le frasi storiche (Cesare, alla testa delle sue legioni, attraversa il Rubicone dicendo Ç il dado è tratto '), basta con le date e con i nomi (era il 13 gennaio del 49 a.C., Cesare tornava dalla Gallia, dove aveva sconfitto Vercingetorige, alla testa della XIII legione, e tornava a Roma per combattere Pompeo); adesso si vuole sapere "perché" tutto questo accadde. La stessa virata nella condotta didattica si verifica nelle altre materie, non ultima la filosofia. Lo studente era stato educato ad imparare e memorizzare tutto ciò che gli si diceva, come fossero altrettante verità rivelate cui credere ciecamente come a dogmi di fede; ad un tratto, dallo studente si pretende che si renda conto di tutto, che "capisca", che ragioni, che conquisti la dinamica razionale di un fenomeno scientifico o di un evento storico. Una volta acquisita questa nuova forma mentis, l'adolescente non può esimersi dalla tentazione di applicarla anche al mondo extrascolastico, sicché tempesta di "perché ?" la famiglia, le tradizioni, la religione. Ma a questi "perché" rispondere è difficile, se non impossibile. Allora si incrina l'autorità dei genitori, allora si contestano le usanze, allora si incontra la religione come un fatto che, per definizione? Sfugge alla logica essendo, e non potendo essere altrimenti, un atto di fede, sul tipo di quelli che la scuola prima alimentò e poi ha proscritto; e allora la religione entra in crisi; continua ad essere presente nell'esistenza dell'individuo, ma in veste di problema (essa, che vuole offrirci non problemi ma semmai un strumento per affrontare i problemi), e viene, perciò, nella migliore delle ipotesi, accantonata in attesa di un chiarimento e di un riesame. La perdita dei genitori infantilmente vissuti. Un'altra caratteristica dell'adolescenza è la riscoperta dei genitori. Si dice, e giustamente, che, a cinque anni il papà è una specie di Dio, a dieci è "tanto bravo e buono ma certe volte non lo capisco", a venti è "un matusa, un semifreddo, un insopportabile egoista" , a venticinque... "però, qualche volta ha ragione", a trenta "o capisco benissimo, è sempre nel giusto". E siccome, verso i trenta, si diventa padri o madri a propria volta, si adotta quel modello, e così si rinnova e si ripete la storia dell'eterna rivalità tra padri e figli. Nell'età adolescenziale i genitori subiscono un profondo ridimensionamento; i genitori sono le prime vittime della rivoluzione privata che ogni adolescente scatena e conduce mentre attraversa il lungo corridoio tra infanzia e maturità. Nell'adolescente, la competizione con il padre si sostituisce all'infantile desiderio di identificazione. E' vero che il padre è un maestro, e che "tristo è il discepolo che non supera il suo maestro", ma ci sono limiti in ogni cosa. Nell'ansia di uscire dal limbo adolescenziale il giovane preferisce la sfida all'emulazione. E poiché spesso la ragione finisce per essere appannaggio del più forte, e il più forte è sempre il padre, la sconfitta è mal sopportata ed acuisce il contrasto. Una caratteristica dell'adolescenza odierna è l'ansia di accelerare questo processo competitivo. Non è un elemento negativo a priori.

E' chiaro che oggi si matura più in fretta e che, perciò, un diciottenne non sopporta di essere trattato come il coetaneo di una o due generazioni fa. Gli adolescenti odierni sono più vivaci, ma anche più maturi. Forse non si accontenterebbero se si vedessero valorizzati e rispettati, ma è un tentativo che potrebbe e dovrebbe essere fatto. Nelle famiglie dove il padre è amico del figlio, l'adolescente è più sereno. Avrà anche lui tanti problemi legati all'età ma non quello del "senza famiglia" volontario. E non smania di "evadere", con droghe o azioni o fantasie, perché l'adolescente adattato, che vive in un ambiente psicologicamente sano, sa bene che l'adolescenza è una fase transitoria da cui è inutile evadere; basta aspettare. E per chi non passa le ore a fissare nervoso le lancette dell'orologio, il tempo passa in fretta. Parlare di adolescenti significa, almeno oggi, parlare anche di droga. Un figlio che si droga mette automaticamente in crisi qualunque famiglia. Proviamo a precisare la dimensione giusta di tali crisi. La via della droga è paragonabile ad una lunga scala, i cui gradini terminali sono estremamente pericolosi. Già chi supera la metà di questa scala è avviato ad un brutto destino ed ha bisogno urgente di esperti e di strutture per disintossicarsi, smettere, rieducarsi, salvarsi. A questo punto, qualunque intervento deciso ed autoritario dei genitori è salutare ed auspicato: ne va di mezzo la vita dell'adolescente. Ma, a questi livelli gravi, il problema interessa solo una esigua minoranza. La droga è viceversa un fenomeno di massa ai livelli minimi di prime e solitarie esperienze. In quasi tutte le scuole è sempre più difficile trovare un diciottenne che non abbia mai fumato. Provare la marijuana non è proprio un titolo di merito né un passaporto per il mondo dei grandi né dimostrazione di coraggio; molto più banalmente, è solo una curiosità, una tappa pressoché obbligata, un'esperienza che è più facile fare che rifiutare. La maggior parte dei giovani è oggi consapevole della pericolosità della droga, perciò una volta soddisfatti se stessi e l'ambiente con la fumatina di iniziazione, è difficile che si prosegua. Tornando all'esempio della scala si può dire che i primissimi gradini non danno le vertigini e, pur se si cadesse, non ci si farebbe male. perciò, tutto sommato, poco male a salirli. Il comportamento ottimale della famiglia, nel caso di un figlio che si droga, consiste nel conservare aperto lo scambio di comunicazioni e nello sdrammatizzare l'evento: quindi niente provvedimenti d'emergenza, niente colpevolizzazioni né processi, poco allarme, molta attenzione, massima comprensione. Il problema scatta solo nel caso che i giovani insistano. E diventa un problema che investe la serenità e le responsabilità dell'intero nucleo familiare. I giovani drogati provengono da tutti i livelli sociali, ma sono più frequenti nelle classi sociali più povere, nelle famiglie spezzate o inesistenti, nelle famiglie che, pur risultando normali sulla carta, sono prive, in effetti, di comprensione, comunicabilità, stima reciproca. Il ricorso alla droga può considerarsi un'espressione di disadattamento. Quando il problema si pone in termini clinici, lo psichiatra è costretto ad agire Ç a valle ', e cioé quando la tossicomania è già in atto. Ma le cause vanno ricercate Ç a monte ' affinché la terapia si svolga sul terreno psicologico nel quale la tossicomania si è sviluppata o si può sviluppare. E vero che riformare la società non rientra nei compiti del medico, ma in essi rientra il dovere di denunciare che la tossicomania, oltre che malattia a sè stante, è Ç sintomo ' di un'altra malattia a livello sociale o familiare. La cura di questa è la più sicura garanzia per prevenire l'altra. La caratteristica precipua dell'adolescenza è il conflitto tra il desiderio d'indipendenza e quello di protezione: il fine intimamente voluto, l'emancipazione, contiene un elemento indesiderabile, la perdita dei vantaggi della dipendenza. Da una parte, dice Bertini, si nota la motivazione positiva verso l'assunzione di un atteggiamento adulto di autonomia; dall'altra però la paura più o meno avvertita di abbandonare l'ambito di quella sicurezza conferita dalla situazione di dipendenza specie familiare: il conflitto raramente emerge in superficie ma si evidenzia nel comportamento ambientale. Viene in mente il quadretto tipico di quella ragazza di 13 anni che dice alla mamma : "Mamma stasera c'è una festa dalle mie amiche, che vestito mi metto?" e la mamma le risponde: "Ma, guarda, credo che tu debba mettere il vestito azzurro". La bambina subito di rimando: "Ecco, che modo di rispondere, il vestito azzurro è ormai passato di moda, non lo mette più nessuno, è una cosa anacronistica; non hai capito che sono cresciuta, che sono ormai grande". La mamma è preoccupata di questo sfogo e temendo di non aver rispettato il bisogno di autonomia, la volta successiva, quando la bambina chiede di nuovo "Mamma, che vestito mi metto?", dice "Cara, metti quello che vuoi tu. Figurati. Fai da sola, prendi quello che vuoi". "Ecco, replica la ragazzina, e pensare che la mamma della mia amica ha scelto il vestito, si è data da fare, si è preoccupata di trovarglielo e poi l'ha aiutata a stirarlo, insomma ha fatto tutto lei. Tu, invece, mi dici: fai quello che vuoi. Praticamente mi abbandoni a me stessa". Ecco un esempio molto banale, in cui il comportamento ambivalente fa capire la natura del conflitto non risolto dal soggetto. Questa è l'adolescenza. Una maschera di baldanza che nasconde un'infinita insicurezza. L'adolescente è terribilmente insicuro (questa è la sua unica costante) ed ha un enorme bisogno di due cose contrastanti: la riprova continua della propria maturità, e l'altrettanto continua presenza attiva di una guida (disprezzata e rifiutata a parole, quanto cercata ed ambita in effetti). Vuol saper decidere da sè, ma è paragonabile all'esploratore che intraprende di sua volontà un viaggio nella giungla, ma che ha bisogno di servirsi di una guida che lo aiuti a realizzare i suoi progetti senza il pericolo di perdersi o di finire in qualche banco di sabbie mobili. Diventare genitori è facile, difficile è esserlo. Specie quando sono adolescenti, i figli hanno un enorme bisogno dei genitori. Loro non vogliono ammetterlo, ma noi teniamolo presente. Lasciamoli fare, lasciamoli esperire tutto quello che vogliono, ma non abbandoniamoli mai, restiamo loro accanto, disponibili senza riserve ogni volta che ci chiedono aiuto o che, anche se non ce lo chiedono, ci fanno capire che ne hanno bisogno. Disponibilità: una parola d'ordine che potrebbe avere le virtœ di una panacea.

Castighi e punizioni

I genitori sono continuamente alla ricerca di mantenere il giusto equilibrio tra le sfide dei figli e le opportune regolamentazioni, tra le disobbedienze dei bambini e le necessarie limitazioni. Per trovarlo devono però fare i conti con la propria storia, i propri genitori interni, le proprie risorse, le proprie vicissitudini dell'infanzia. Quando madri e padri sono in difficoltà corrono il rischio di creare un ambiente affettivo dove diventa proprio difficile crescere. I genitori possono perdere la pazienza, la giusta distanza, la funzione educativa di fronte al figlio che li sfibra chiedendo loro un'attenzione che non sono in grado di dare. Mamma e papà possono non farcela a regolare, con affetto ed empatia, i comportamenti del loro bambino perché sono stanchi, perché vivono turbamenti soggettivi, per mancanza di spazio interno, per eventi personali che, a loro volta, non li hanno aiutati a sviluppare buone competenze genitoriali. Si rompe così, in maniera dolorosa per tutti, quel filo affettivo che aiuta genitori e figli a capirsi.

Il gioco delle parti

Il genitore dovrebbe saper dire di no e rimanere fermo nelle sue posizioni di diniego. In senso operativo bisogna saper mettere semafori rossi: non fargli guardare la televisione se un momento prima aveva disobbedito ad un ordine, proibirgli di andare a giocare in giardino se non ha ancora finito i compiti, decurtargli la "paghetta" se ha fatto stare in pensiero i genitori... Sono tutte soluzioni contrattuali non paragonabili alle percosse. Ma, si sa, bruciano al bambino sia perché gli fanno mancare delle cose a cui tiene, sia perché sono ferite al suo desiderio di ottenere ciò che vuole. Alle volte, però, bisogna arrivare anche alla sculacciata che non fa male in sè, ma ridimensiona i capricci del bambino. Molte volte i figli la cercano proprio perché hanno bisogno del limite. Il genitore deve allora saper imporre dei divieti poiché questi sono rassicuranti per i figli. Se non lo facesse il limite verrebbe sostituito, come purtroppo succede fin troppe volte, da un platano contro cui vanno a sbattere quei giovani che non hanno interioriz-zato le norme, né dal punto di vista esterno né dal punto di vista interno, cioé né come codice della strada né come nozione di pericolo. Torniamo alla questione dell'elettricità perché è una cosa sicura, netta, sulla quale non vi sono dubbi al mondo. Il genitore che, fortemente allarmato e altrettanto deciso, inibisce il bambino dal toccare la spina della luce, gli trasmette un limite invalicabile che non può essere assolutamente equivocato. E' quindi necessario che i genitori abbiano una loro idea ben precisa di ciò che fa bene e di ciò che fa male, di quello che è nel segno della salute e di quello che è nel segno della dannosità. Sono i genitori, allora, che dovrebbero chiarirsi, per primi, le loro opinioni. Solo quando se le sono abbastanza chiarite i loro sì e i loro no risultano fondanti anche per i figli. E' la storia del vecchio, dell'asino e del bambino, quella in cui se il vecchio va a piedi e il bambino va sull'asino la gente dei paesi che attraversano dice: "Guarda che vergogna quel bambino fa andare a piedi quel povero vecchio!". Se, viceversa, sentendo quanto dice la gente, il bambino scende e il vecchio sale sull'asino, nel paese successivo tutti dicono: "Guarda lì un adulto che fa andare un bambino a piedi, com'è sfruttata l'infanzia!". Allora vecchio e bambino salgono tutti e due sull'asino per non sentirsi dire una cosa o l'altra e, nel paese successivo, si sentono apostrofare così: "Guarda quel povero asino sfruttato da quei due che lo gravano del loro peso!". Allora, vergognandosi, scendono tutti e due e, nell'ultimo paese, si sentono dire: "Guarda che stupidi quei due che hanno un asino e vanno a piedi!". Nessuna decisione viene approvata da tutti. La storiella ci insegna che mamma e papà dovrebbero formarsi una loro visione, abbastanza consolidata, per reggere di fronte alla multiformità dei commenti. Crescere per far crescere Se mamma e papà non sapessero mai dire no, farebbero del proprio figlio un onnipotente, incapace di tollerare la frustrazione. Se invece non sapessero mai dire di sì, ne farebbero un essere incapace di provare piacere e gioia. In genere madri e padri, in maniera rigida, ripetono verso i figli il trattamento che essi ebbero da parte dei propri genitori. A violenza subita corrisponde allora altrettanta violenza verso i figli e, a poca autorevolezza di mamma e papà, corrisponde invece poca capacità di farsi rispettare. Altri proiettano sui figli, in maniera compensativa, l'immagine ideale di quello che pensano avrebbe dovuto esser fatto loro. Si ha così uno sbilanciamento in senso opposto. Infatti i genitori fortemente repressi da figli, si astengono dal reprimere i loro bambini, mitizzando un regime privo di regole. Queste modalità portano mamme e papà a delle vere e proprie distorsioni nella lettura dei comportamenti dei propri bambini. E' l'immedesimarsi in quello che possono provare gli altri che permette di non invadere continuamente lo spazio altrui. Ci vuole perciò una buona educazione da parte dei genitori per far apprendere ai figli come fermarsi quando ciò che fanno diventa fastidioso per gli altri. Sarebbe invece più opportuno fare il contrario. Il neonato va assecondato parecchio. Il bambino, quando comincia a scolarizzarsi, va invece contenuto poiché è in grado di accettare molto di più i limiti e le frustrazioni. Ed è qui che però subentra l'incapacità dei genitori a contrastarlo. Questo avviene perché confondono se stessi con il bambino. E' una confusione che non c'è nelle prime fasi di vita del figlio poiché questa esperienza, piuttosto lontana nella mente dei genitori, non favorisce la loro immedesimazione con il figlio neonato. Per il bambino, però, è la prima relazione con mamma e papà ad essere così totale ed importante da divenire decisiva nello stabilire il colore della sua vita. E' proprio questo primo rapporto che lascia tracce incancellabili sul figlio. E se questi segni sono contraddistinti dall'incomprensione e dalla mancanza di comunicazione, vengono poi pagati cari in età successive. Le troppe frustrazioni lasciano conseguenze che dovranno essere in seguito risarcite con enormi interessi. Diventa allora necessario somministrare la frustrazione ai figli con una certa gradualità e una certa progressività. Non possiamo pretendere sotto-missioni precoci da un "esserino" che non è in grado di tollerarle ed elaborarle, ed è per questo che la regolamentazione dei comportamenti del piccolo deve essere allora pretesa con gradualità. Le regole possono essere messe dentro ai figli in maniera garbata o in maniera prepotente. Infatti, se diamo da mangiare ad una persona in modo sforzato, è facile che sputi, vomiti, non digerisca quello che le abbiamo dato o che le resti tutto sullo stomaco. Mentre se il cibo le viene invece proposto quando ha fame e con maniere accettabili, è assai più facile che venga preso dentro, venga anche digerito, assimilato e costituisca così un arricchimento sia corporeo che psicologico della persona. Le regole fatte entrare con la forza, con l'intrusività e con tempi sbagliati o vengono espulse con una reazione rabbiosa, uguale a quella subita, facendo diventare il bambino aggressivo, violento o addirittura delinquenziale, oppure vengono accettate con una sottomissione che mortifica il figlio facendolo diventare quiescente, collaborazionista o addirittura masochista. Il figlio che reagisce a questa intrusività del genitore sottoponen-dovisi, per una sorta di "sindrome di Stoccolma", può arrivare a sentire come giuste le angherie che subisce. Questi, per me, sono i casi più terribili perché i figli adorano padri e madri che, invece, sarebbero da mandare immediatamente davanti ai giudici. Quando sorge un conflitto tra i bisogni dei genitori e quelli del figlio, questi genitori, invariabilmente, risolvono il conflitto in modo tale che il genitore vince e il figlio perde. Generalmente, questi genitori razionalizzano il loro vincere in base a stereotipi come: "So io cos'è meglio" oppure "E' per il bene del bambino" o ancora "I figli hanno bisogno di un'autorità", oppure, in termini più generici, "spetta ai genitori esercitare la propria autorità per il bene dei figli, perché i genitori sanno meglio di loro cos'è giusto e cos'è sbagliato". Il secondo gruppo di genitori, numericamente più ristretto di quello dei vincitori, concedono per lo più molta libertà ai figli. Evitano deliberatamente di imporre limitazioni e affermano con orgoglio di non accettare i metodi autoritari. Quando si verifica un conflitto tra le esigenze del genitori e quelle del figlio, solitamente il figlio vince e il genitore perde, poiché questi genitori ritengono dannoso frustrare i bisogni del figlio. Probabilmente il gruppo più numeroso è rappresentato dai genitori che ritengono impossibile seguire coerentemente l'uno o l'altro dei due approcci. Di conseguenza, cercando di pervenire a un giusto mezzo, oscillano tra severità e indulgenza, fermezza e accondiscendenza, rigore e permis-sivismo, vittoria e sconfitta. Il potere del linguaggio dell'accettazione Quando una persona è capace di provare e di comunicare a un'altra una sincera accettazione, essa può diventare di grande aiuto. La sua accettazione dell'altro così com'è, è determinante per costruire una relazione in cui l'altro possa crescere, maturare, operare cambiamenti costruttivi, imparare a risolvere problemi, tendere a un equilibrio psicologico, diventare più produttivo e creativo, realizzare pienamente il proprio potenziale. E' uno di quei paradossi semplici ma bellissimi della vita: quando una persona sente di essere sinceramente accettata per quella che è, si sente libera di prendere in considerazione un possibile cambiamento, di pensare a una possibile crescita, a cosa vorrebbe diventare, a come realizzare maggiormente il proprio potenziale. L'accettazione è come il terreno fertile che permette a un seme minuscolo di trasformarsi nel bel fiore che può diventare. Sprigiona la sua capacità di crescere, ma tale capacità è interamente in seno al seme. Anche un figlio, come un seme, ha dentro di sè la capacità di crescere. L'accettazione è il terreno fertile, che semplicemente permette al figlio di realizzare il proprio potenziale. perché l'accettazione genitoriale esercita tanta benefica influenza sui figli? E' un punto che in genere non viene compreso. La maggior parte delle persone è stata indotta a credere che se si accetta un figlio così com'è, questi non cambierà mai; che il modo più valido per aiutarlo a migliorarsi è quello di dirgli quali aspetti di lui non sono accettabili. L'accettazione va dimostrata chiaramente Non basta provare accettazione per un figlio, occorre anche che il figlio si senta accettato. Se l'accettazione del genitore non è percepita dal figlio, è facile che non abbia alcun effetto su di lui. Il genitore deve imparare a manifestare la propria accettazione in modo che il figlio la percepisca. La parola può guarire e indurre un cambiamento costruttivo. Ma dev'essere il giusto tipo di parola. La stessa cosa vale per i genitori. Il modo di rivolgersi ai figli determina l'efficacia o la distruttività del genitore. Il genitore efficace, come il consulente efficace, deve imparare a comunicare la propria accettazione e a sviluppare le stesse capacità comunicative del professionista. Come comunicare accettazione in modo non-verbale Possiamo comunicare sia con il linguaggio parlato (ciò che diciamo) sia con il linguaggio del corpo, quello che gli scienziati sociali definiscono linguaggio non verbale (ciò che non diciamo). I messaggi non verbali vengono comunicati attraverso la gestualità, la postura, le espressioni del volto o altri comportamenti. Il "non-intervenire" come messaggio di accettazione I genitori possono esprimere accettazione al figlio semplicemente non intervenendo nelle sue attività. Non intervenire mentre il figlio è impegnato in qualche attività è un modo efficace per comunicare accettazione a livello non verbale. Molti genitori non si rendono conto della frequenza con cui comunicano non accettazione ai figli semplicemente interferendo, intromettendosi, controllando, partecipando alle sue attività.

Esprimere accettazione con l'ascolto passivo

Anche il non dire può comunicare con chiarezza l'accettazione. Il silenzio - l'ascolto passivo - è un messaggio non verbale molto potente e può essere molto efficace per far sentire l'altro veramente accettato. Comunicare accettazione verbalmente E' facile capire che non si può restare a lungo in silenzio nel corso di un'interazione. C'è bisogno di una qualche forma di scambio verbale. Ovviamente i genitori devono parlare con i figli, e i figli hanno bisogno che gli si parli perché nasca un rapporto intimo e vitale. Parlare è essenziale, ma il punto cruciale è come parlare. Il tipo di comunicazione verbale fra un genitore e un figlio la dice lunga sul loro rapporto, soprattutto il modo in cui il genitore risponde alla comunicazione del figlio. E' importante che i genitori esaminino il proprio modo di rispondere verbalmente ai figli perché la loro efficacia di educatori dipende in larga misura dal comportamento verbale.

Le barriere di comunicazione

1 Dare ordini, dirigire, comandare

Dire al ragazzo di fare qualcosa, dargli un ordine o un comando: • Non mi interessa quello che fanno gli altri genitori, va a pulire il giardino! • Non parlare a tua madre in quel modo! • Torna subito a giocare con Alessandra e Marta! • Smettila di lamentarti!

2 Mettere in guardia, ammonire, minacciare

Dire al ragazzo quali saranno le conseguenze delle sue azioni: • Se fai una cosa del genere, te ne pentirai! • Un'altra parola, e finisci dritto in camera tua! • Se non vuoi che finisca male, è meglio che la lasci perdere!

3 Esortare, moralizzare, far predica

Dire al ragazzo che cosa dovrebbe fare o sarebbe bene che facesse: • Non dovresti fare così. • Sarebbe opportuno che tu... • Devi sempre rispettare chi è più vecchio di te.

4 Consigliare, offrire soluzioni o suggerimenti

Dire al ragazzo come risolvere un problema, dargli consigli e suggerimenti, fornirgli risposte e soluzioni: • perchéé non chiedi ad Alessandra e Marta di scendere a giocare con te? • Aspetta ancora un paio di anni, prima di decidere se fare o meno l'università. • Prova a parlarne con l'insegnante. • Cercati altre amiche.

5 Insegnare, argomentare, persuadere

Cercare di influenzare il figlio con fatti, argomentazioni, ragionamenti, informazioni o con le proprie opinioni: • Andare all'università potrebbe essere l'esperienza più bella della tua vita. • I bambini devono imparare ad andare d'accordo tra loro. • Guardiamo cosa dicono le statistiche sui giovani laureati. • Se i ragazzi imparano ad assumersi le proprie responsabilità, sapranno farlo anche da grandi. • Considera la cosa da questo punto di vista: tua madre ha bisogno di aiuto in casa. • Quando avevo la tua età, dovevo fare il doppio di quello che fai tu.

6 Giudicare, criticare, opporsi, biasimare

Dare un giudizio o una valutazione negativa del ragazzo: • Parli senza riflettere. • E' un punto di vista immaturo. • Qui ti sbagli di grosso.

7 Elogiare, assecondare

Dare un giudizio o una valutazione positiva, oppure essere d'accordo: • Secondo me sei una ragazza carina. • Sei perfettamente in grado di riuscirci. • Credo che tu abbia ragione. • Sono d'accordo con te.

8 Etichettare, ridicolizzare, umiliare

Indurre il figlio a sentirsi stupido, affibbiargli un etichetta, umiliarlo: • Sei un ragazzino viziato. • Eccolo, il sapientone. • Ti stai comportando da selvaggio. • Va bene, piccolino.

9 Interpretare, analizzare, diagnosticare

Dire al ragazzo quali sono i motivi del suo comportamento o analizzare perchéé sta facendo o dicendo qualcosa, comunicargli la vostra diagnosi o l'idea che vi siete fatta di lui: • La verità è che sei gelosa di Marta. • Lo stai dicendo per infastidirmi. • Non ci credi veramente. • Ti senti così perché non vai bene a scuola.

10 Rassicurare, simpatizzare, consolare, sostenere

Cercare di farlo sentire meglio, di distrarlo da suo stato d'animo, di dissipare le sue emozioni, di negare la pesantezza dei suoi sentimenti: • Domani ti sentirai diversamente. • A tutti i ragazzi capitano queste cose. • Non preoccuparti, le cose si aggiusteranno. • Potresti essere un ottimo studente, con le tue capacità. • Anch'io la pensavo così. • E già! A volte la scuola può essere proprio noiosa. • Di solito, vai abbastanza d'accordo con gli altri ragazzi.

11 Inquisire, fare domande, indagare

Cercare ragioni, motivi, cause; richiedere altre informazioni che possano aiutarvi a risolvere il problema: • Quando hai incominciato a sentirti così? • perché ti sembra di odiare la scuola? • Ma le tue amiche ti dicono perché non vogliono giocare con te? • Con quanti altri ragazzi hai parlato del lavoro che devono fare? • Chi ti ha messo in testa queste idee? • Che cosa farai se non andrai all'università?

12 Minimizzare, cambiare argomento, scherzare, distrarre

Distogliere l'attenzione del figlio dal problema, tirarvi indietro, distrarre il ragazzo, fare dello spirito o eludere il problema: • Non pensarci. • Non parliamone a tavola. • Ma dai! parliamo di argomenti più piacevoli. • Come va con la palla-canestro? • Già che ci sei, perché non dai fuoco alla scuola? • E' una storia vecchia.

Quando i genitori dicono qualcosa a un figlio, spesso dicono qualcosa su di lui. Questo è il motivo per cui qualsiasi comunicazione con un figlio ha un impatto tanto grande su di lui e sulla sua relazione con voi. Ogni volta che parlate con vostro figlio, aggiungete un altro mattone alla relazione che state costruendo insieme. E ogni messaggio gli comunica cosa pensate di lui. Gradualmente il figlio costruisce un'immagine di come lo percepite in quanto persona. La parola può essere cos-truttiva per il figlio e per la relazione, ma può anche essere distruttiva.

Semplici frasi-invito

Uno dei modi più efficaci e costruttivi per rispondere ai messaggi dei figli che esprimono sentimenti e problemi sono le frasi-invito o "inviti a dire di più". Si tratta di risposte che non veicolano le idee, i giudizi o i sentimenti dell'ascoltatore, ma che invitano il figlio a esprimere le proprie idee, giudizi o sentimenti. Sono segnali di "via libera" che lo incoraggiano a parlare. Le più semplici tra questo tipo di risposte sono: - Capisco. - Davvero. - Ah! - Non mi dire. - Mmm. - Incredibile. - Ma guarda un po'. - Ah sì, eh? - Interessante. - Ma veramente! Altre espressioni sono più esplicite nel comunicare l'invito a dire di più o a continuare a parlare: - Raccontami. - Di che si tratta? - Spiegati meglio. - Vorrei sapere cosa ne pensi. - Ti va di parlarne? - Parliamone. - Cosa vuoi dire. - Dimmi tutto. - Parla, ti ascolto. - Mi pare che tu voglia dire qualcosa. - Mi sembra che sia molto importante per te. Queste frasi-invito possono facilitare molto la comunicazione, incoraggiano a iniziare o a continuare un discorso. Inoltre lasciano l'iniziativa all'altro e non gliela sottraggono come fanno invece le domande, i consigli, le istruzioni, le prediche e via dicendo. Queste frasi-invito impediscono ai vostri sentimenti e ai vostri pensieri di interferire nel processo di comunicazione. Le reazioni dei bambini e degli adolescenti a queste semplici frasi-invito vi sorprenderanno. I giovani saranno incoraggiati ad avvicinarsi di più, ad aprirsi e a far letteralmente sgorgare liberamente i propri sentimenti e le proprie idee. I giovani, come gli adulti, amano parlare, e se qualcuno gliene dà l'occasione, lo fanno volentieri.

Queste frasi-invito comunicano anche accettazione e rispetto per il figlio in quanto persona; in effetti è come se gli dicessero: - Hai il diritto di esprimere i tuoi stati d'animo. - Ti rispetto in quanto persona dotata di idee e sentimenti. - Potrei imparare qualcosa da te. - Voglio veramente ascoltare il tuo punto di vista. - Ritengo che le tue idee meritino di essere ascoltate. - Sono interessato a te. - Voglio entrare in rapporto con te, conoscerti meglio. Chi non reagirebbe favorevolmente a questi atteggiamenti? Quale adulto non sarebbe lieto di sentirsi valorizzato, rispettato, importante, accettato, interessante? I figli non sono diversi. Invitateli a parlare e preparatevi a un'esplosione di espressività e di espansività. Potreste inoltre apprendere qualcosa su loro e su voi stessi.

L'ascolto attivo

C'è un altro modo di rispondere ai messaggi dei giovani, infinitamente più efficace delle frasi-invito che sono semplici stimoli a parlare e che si limitano ad aprire la porta alla loro comunicazione. Ma i genitori devono anche imparare a tenere aperta quella porta. Di gran lunga più efficace dell'ascolto passivo (il silenzio), l'ascolto attivo è un modo splendido per collegare "mittente" e "ricevente". Il ricevente diviene attivo quanto il mittente. Ma prima di imparare come ascoltare attivamente, è necessario che i genitori comprendano meglio cosa succede durante il processo di comunicazione fra due persone. Alcuni semplici schemi ci saranno d'aiuto. Ogni volta che un figlio decide di comunicare con il proprio genitore, lo fa perché ha un bisogno, perché c'è in lui una tensione, vuole qualcosa, si sente a disagio, prova un particolare sentimento riguardo a qualcosa, oppure è turbato da qualcosa; in questi casi diciamo che il suo organismo è in uno stato di squilibrio, e per riequilibrarlo il figlio decide di parlare. L'ascolto attivo favorisce questa catarsi. Aiuta i figli a prendere coscienza dei propri sentimenti. Dopo averli espressi, spesso si dissolvono come per incanto. L'ascolto attivo aiuta i figli ad avere meno paura delle emozioni negative. "Le emozioni sono amiche": è un'espressione che utilizziamo spesso nei nostri corsi per aiutare i genitori a capire che le emozioni non sono cattive. Quando un genitore dimostra, con l'ascolto attivo, di accettare i sentimenti del figlio, questi si sente incoraggiato ad accettarli anche lui. Dalle reazioni del genitore, il figlio comprende che le emozioni sono davvero amiche. L'ascolto attivo promuove l'intimità tra genitori e figli. L'esperienza di sentirsi ascoltati e compresi da un altro è così soddisfacente, che inevitabilmente genera nel mittente sentimenti positivi nei confronti di chi ascolta. I figli, in modo particolare, reagiscono con sentimenti e pensieri pieni d'amore. L'ascolto attivo facilita nel figlio il processo autonomo di soluzione dei problemi. Sappiamo che è più facile elaborare un problema quando se ne può parlare con qualcuno, piuttosto che limitarsi a rifletterci su.

Gli atteggiamenti richiesti dall'ascolto attivo

L'ascolto attivo non è una semplice tecnica da tirar fuori dalla cassetta degli attrezzi in caso di necessità. E' un metodo per mettere in pratica una serie di atteggiamenti fondamentali, senza i quali il metodo risulterà per lo più inefficace e avrà un sapore falso, vuoto, meccanico, insincero. Ecco alcuni atteggiamenti fondamentali che sono indispensabili quando si impiega l'ascolto attivo. Nel caso in cui siano assenti, il genitore non riuscirà ad essere un efficace ascoltatore.

1 Deve esserci la volontà di ascoltare quello che il figlio ha da dire. Il che significa essere disposti a concedersi il tempo per farlo. Se non avete tempo, basta dirlo.

2 Deve esserci la sincera volontà di aiutarlo con quel determinato problema e in quel determinato momento. Se non ve la sentite, aspettate il momento opportuno.

3 Dovete sentirvi genuinamente in grado di accettare il suo stato d'animo, qualunque esso sia e per quanto diverso dal vostro o da quello che secondo voi dovrebbe avere vostro figlio. Ci vuole tempo per sviluppare questo atteggiamento.

4 Dovete avere una profonda fiducia nella sua capacità di gestire i propri sentimenti, elaborarli e trovare soluzioni ai propri problemi. La fiducia verrà osservando come vostro figlio risolve i propri problemi.

5 Dovete aver chiaro che gli stati d'animo sono transitori, non permanenti. I sentimenti cambiano: l'odio si può trasformare in amore, lo scoraggiamento può cedere rapidamente il posto alla speranza. Di conseguenza, non abbiate paura dei suoi sentimenti; essi non lasceranno un'impronta indelebile sull'animo del figlio. L'ascolto attivo ve lo dimostrerà.

6 Dovete essere in grado di considerare vostro figlio una persona distinta da voi, un individuo con una propria vita e una propria identità, ormai indipendente e separato da voi. Questa separazione vi permetterà di concedergli i suoi stati d'animo, e il suo modo di vedere le cose. Solo sentendovi separati da lui sarete in grado di aiutarlo. Dovete accompagnarlo mentre vive il suo problema, senza identificarvi con lui.

Errori ricorrenti nell'utilizzo dell'ascolto attivo

1 Manipolare i figli attraverso "la guida" Alcuni genitori fanno fiasco quando utilizzano per la prima volta l'ascolto attivo solo perché le loro intenzioni sono sbagliate. Essi vogliono utilizzarlo per manipolare i figli e indurli a comportarsi o a pensare come i genitori credono sia opportuno.

2 Il genitore "pappagallo" Questi genitori dovrebbero ricordare che le parole utilizzate dai figli (il loro particolare codice) sono solo strumenti per comunicare sentimenti. Il codice in sè non è il messaggio; esso deve essere decifrato dal genitore.

3 L'ascolto senza empatia Un pericolo reale per i genitori che applicano meccanicamente l'ascolto attivo è non accorgersi che i loro sforzi devono essere accompagnati da calore e empatia.

Modi efficaci di confrontarsi con i figli

Anche il modo di parlare dei genitori può essere migliorato. Quando prendono coscienza del potere distruttivo dei messaggi di disapprovazione i genitori cominciano anche a fremere del desiderio di apprendere modi più efficaci per confrontarsi con i figli. Non abbiamo mai incontrato un genitore che volesse coscientemente distruggere l'autostima del proprio figlio.

"Messaggi in prima persona" e "Messaggi in seconda persona"

Un modo semplice per spiegare la differenza tra confronto efficace e inefficace è quello di imparare innanzitutto a distinguere i messaggi in prima persona dai messaggi in seconda persona. Quando chiediamo ai genitori di esaminare i messaggi che in precedenza avevamo catalogato come inefficaci, essi si sorprendono nel constatare che sono quasi tutti rivolti in seconda persona, cioé all'interlocutore: • Smettila. • Non dovresti comportarti così. • Non ti permettere mai più di ... • Se non la smetti ... • perché non fai così? • Sei un cattivone. • Ti stai comportando come un bambino. • Vuoi attirare l'attenzione. • perché non ti comporti bene? • Dovresti avere più buon senso.

Perché i "messaggi in prima persona" sono più efficaci

I messaggi in prima persona oltre a essere più efficaci per influenzare un figlio a modificare un comportamento inaccettabile per il genitore, sono anche più salutari per il figlio e per la relazione genitore-figlio. Chi invia un sincero messaggio in prima persona rischia di farsi conoscere dall'altro per quello che veramente è; si apre diventando genuinamente trasparente e rivela la propria umanità; mostra all'altro che può sentirsi ferito, imbarazzato, spaventato, deluso, arrabbiato o scoraggiato e così via. Rivelare ciò che si prova significa aprirsi per farsi vedere dall'altro. Cosa penserà di me? Sarò rifiutato? Diminuirà la sua stima nei miei confronti? I genitori, in modo particolare, trovano molto difficile essere genuinamente trasparenti con i figli perché vogliono apparire infallibili, senza debolezze, vulnerabilità, inadeguatezza. Per molti genitori è molto più facile nascondere i propri sentimenti dietro messaggi in seconda persona, che attribuiscono la colpa al figlio, piuttosto che smascherare la propria umanità. Modificare un comportamento inaccettabile modificando l'ambiente circostante Non sono molti i genitori che provano a modificare il comportamento dei figli modificando l'ambiente circostante. I genitori tendono a modificare l'ambiente circostante dei neonati o dei bambini molto piccoli, ma non quello dei figli più grandi in parte perché con questi ultimi possono affidarsi in misura sempre maggiore a metodi verbali come il rimprovero e la minaccia. Essi trascurano, quindi, di modificare l'ambiente e cercano di dissuadere con le parole il figlio dal mantenere un comportamento inaccettabile. Questa scelta è alquanto inopportuna poiché modificare l'ambiente circostante, oltre ad essere un'operazione semplice, è anche estremamente efficace con figli di tutte le età.

I genitori cominciano a utilizzare questo metodo in modo più esauriente quando ne comprendono le molteplici possibilità di applicazione. Seguendo questo criterio si può: 1 Arricchire l'ambiente circostante. 2 Impoverirlo. 3 Semplificarlo. 4 Limitarlo. 5 Renderlo sicuro. 6 Sostituire una attività con un'altra. 7 Preparare il figlio a possibili modifiche dell'ambiente. 8 Pianificare le modifiche con i figli più grandi.

Si possono evitare numerosi conflitti organizzando opportunamente anche l'ambiente degli adolescenti. Anche loro hanno bisogno di uno spazio adeguato per sistemare i loro oggetti personali, per mantenere la propria privacy, per coltivare attività autonome.

Ecco alcuni suggerimenti per ampliare la vostra area di accettazione nei confronti dei figli più grandi: • Procurate loro una sveglia. • Liberate uno spazio adeguato nello stanzino e ponetevi numerosi ganci. • Predisponete in casa un angolo dove lasciarsi reciprocamente le ambasciate. • Procurate loro un calendario personale dove possano annotare i propri impegni. • Studiate insieme le istruzioni d'uso di apparecchiature o elettrodomestici appena acquistati. • Informateli con anticipo delle visite di ospiti per dar loro il tempo di riordinarsi le stanze. • Assicurate la chiave di casa a un laccio che potrà essere cucito all'interno della borsetta di vostra figlia o indossato intorno al collo da vostro figlio. • Date la paga mensilmente, invece che settimanalmente, e accordatevi in anticipo su ciò che i figli sono tenuti a comprarsi con la paga che destinate loro. • Spiegate qual è il criterio di addebito degli scatti della società dei telefoni. • Spiegate tempestivamente complesse questioni legali come l'assicurazione dell'auto, il coprifuoco, la responsabilità in caso di incidenti automobilistici, l'uso di alcool o di droghe e così via. • Quando un adolescente lava il proprio bucato semplificategli il compito predisponendo che abbia a portata di mano quanto gli occorre. • Suggerite di portare sempre con loro un gettone nel caso debbano fare una telefonata di emergenza. • Avvisateli sempre se avete riposto nel frigorifero cibi riservati gli ospiti. • Abituateli a fare un elenco dei loro amici e relativi numeri telefonici nel caso abbiate improvvisamente bisogno di rintracciarli. • Avvertiteli per tempo se prevedete di aver bisogno del loro aiuto per accogliere ospiti. • Incoraggiateli a preparare un elenco di oggetti personali o di cose da fare prima di partire per un viaggio. • Invogliateli a leggere le previsioni del tempo sul giornale (o ad ascoltare alla televisione o alla radio) per decidere cosa indossare per andare scuola. • Informateli in anticipo dei nomi dei vostri ospiti onde evitare situazioni imbarazzanti al loro arrivo. • Avvertiteli con molto anticipo di quanto sarete fuori città in modo che possano organizzare le loro attività durante la vostra assenza. • Insegnate loro come annotare i messaggi telefonici. • Bussate sempre prima di entrare nelle stanze dei vostri figli. • Fateli partecipare ai discorsi sui progetti familiari che li coinvolgono. • Definite insieme, prima dell'arrivo dei loro ospiti, le regole della casa riguardo alle feste che essi organizzano.

Conflitti inevitabili tra genitori e figli: chi dovrebbe vincere?

Tutti i genitori incontrano situazioni in cui né il confronto né le modifiche ambientali riescono a far cambiare il comportamento del figlio; il figlio, cioé, seguita a comportarsi in un modo che interferisce con i bisogni del genitore. Queste situazioni sono inevitabili nella relazione genitore-figlio quando il figlio "ha bisogno" di comportarsi in un dato modo pur essendo cosciente che il proprio comportamento è in contrasto con i bisogni del genitore. Questi conflitti tra bisogni del genitore e bisogni del figlio non solo sono inevitabili in tutte le famiglie, ma anche destinati a verificarsi frequentemente. La loro natura può essere poco rilevante ma anche estremamente critica. Si tratta di problemi del rapporto non attribuibili esclusivamente al figlio né al solo genitore, ma sia al primo che al secondo perché sono in gioco i bisogni di ambedue. Come risolvere i conflitti è probabilmente l'aspetto più critico del rapporto tra genitori e figli. Sfortunatamente, la maggior parte dei genitori cerca di risolverli utilizzando solo due approcci, ambedue inefficaci e dannosi per il figlio e per il rapporto. Pochi genitori accettano il fatto che i conflitti fanno parte della vita e che non sono necessariamente di natura dannosa. Molti di loro, invece, ritengono che il conflitto sia qualcosa da evitare a tutti i costi, sia se insorge tra loro e i figli che tra i figli stessi. Molti mariti e mogli si vantano di non avere mai avuto seri contrasti, come se ciò bastasse a convalidare la bontà del loro rapporto. Il conflitto, dunque, non è necessariamente un male; va, invece, considerato come realtà di qualsiasi rapporto. La lotta per il potere tra genitori e figli Molti genitori riducono il complesso problema della disciplina nell'educazione dei figli ad una questione di severità o indulgenza, durezza o tenerezza, autorità o permissivismo. Essendo bloccati in questo approccio dualistico all'educazione, assimilano il loro rapporto con i figli a una lotta di potere, a uno scontro di volontà, a una sfida per vedere chi vince, insomma a una guerra. I genitori di oggi e i loro figli sono letteralmente in guerra; ambedue le parti in conflitto ragionano in termini di vincita e perdita e parlano addirittura dei loro scontri in modo molto simile a due nazioni in guerra. Quando insorge un conflitto tra genitori e figli, la maggior parte dei genitori cerca di risolverlo a proprio favore in modo che il genitore vinca e il figlio perda. Un numero più esiguo di genitori, se paragonato al numero di genitori vincenti, cede continuamente alle richieste dei figli per timore di affrontare il conflitto o di frustrare i loro bisogni. In queste famiglie il figlio vince e il genitore perde. Il grande dilemma dei genitori odierni è che vedono solamente l'approccio vinci-perdi, che ora chiamiamo Metodo I e Metodo II.

Perché il Metodo I è inefficace

I genitori che fanno assegnamento sul Metodo I per risolvere i conflitti pagano un prezzo molto alto per la propria vincita. Le conseguenze del Metodo I sono abbastanza prevedibili: scarsa motivazione del figlio a eseguire quanto proposto nella soluzione, risentimento verso i genitori, difficoltà ad imporsi da parte del genitore, nessuna opportunità per il figlio di sviluppare la capacità di autodisciplinarsi. Quando un genitore impone la propria soluzione di un conflitto, il figlio avrà ben poco motivo o desiderio di aderire a quella decisione non avendo alcun vantaggio a farlo; non gli è stata offerta alcuna opportunità di pronunciarsi per esprimere il proprio parere. Qualunque motivazione del figlio è estrinseca, esterna alla sua persona. Può darsi che egli finisca con l'assecondare il genitore, ma solo perché teme la sua punizione o disapprovazione. Il figlio non vuole eseguire quanto deciso, si sente costretto a farlo. E' per questo che i figli cercano tanto spesso di escogitare il modo di sottrarsi al compito di eseguire ciò che devono svolgendo comunque il lavoro con sforzo minimo o facendo a mala pena lo stretto indispensabile. In genere i figli provano risentimento nei confronti dei genitori quando vengono costretti con il Metodo I a fare qualcosa controvoglia. Si sentono vittime di un'ingiustizia e, attribuendone ai genitori la responsabilità, si rivoltano contro di essi con rancore e risentimento. I genitori che usano il Metodo I qualche volta ottengono arrendevolezza e ubbidienza pagando però l'amaro prezzo dell'ostilità dei figli. Se si osservano i figli di genitori che hanno appena risolto un conflitto con il Metodo I si constaterà quasi invariabilmente che le espressioni del loro volto denunciano rancore e risentimento, che rispondono con ostilità o che arrivano persino ad aggredire fisicamente i genitori. Il Metodo I crea le premesse di una relazione destinata a deteriorarsi inesorabilmente. Il risentimento e l'odio subentrano all'amore e all'affetto. I genitori pagano un altro grave scotto per aver usato il Metodo I: solitamente devono spendere una gran quantità di tempo per far rispettare la decisione presa, per controllare che il figlio adempia il proprio compito assillandolo, rammentadogli cosa deve fare e sollecitandolo. I genitori che partecipano ai corsi spesso difendono l'uso del Metodo I adducendo la giustificazione che dopotutto è un metodo rapido per risolvere i conflitti. Questo vantaggio è spesso più apparente che reale perché in seguito sottrae moltissimo tempo al genitore che deve assicurarsi che la propria decisione sia effettivamente rispettata. I genitori che dicono di dover costantemente assillare i figli sono immancabilmente gli stessi che adoperano il Metodo I. Mi è impossibile ricordare l'enorme numero di conversazioni, avute con genitori, simili alla seguente, avvenuta nel mio ufficio. Pochi genitori vedono la connessione tra la mancanza di motivazione dei figli ad aiutarli in casa e il fatto che le decisioni relative sono di solito prese con il Metodo I. Un ragazzo "che non collabora" è semplicemente un ragazzo i cui genitori, prendendo decisioni con Metodo I, gli hanno negato la possibilità di cooperare. Non è possibile ottenere la cooperazione di un figlio costringendolo a comportarsi nel modo desiderato. perché il Metodo II è inefficace Cosa accade ai figli che crescono abituandosi a vincere mentre i genitori perdono? Quale effetto ha sui figli il loro averla quasi sempre vinta? Ovviamente questi figli saranno diversi da quelli cresciuti in case dove si usa principalmente il Metodo I per risolvere i conflitti. I figli a cui è consentito di avere la meglio non saranno altrettanto ribelli, ostili, dipendenti, aggressivi sottomessi obbedienti, servili remissivi e così via. Non hanno dovuto sviluppare la capacità di far fronte al potere genitoriale. Il Metodo II incoraggia il figlio a utilizzare il proprio potere sui genitori per vincere a loro spese. Questi figli imparano a controllare il genitore rivoltandosi con stizzosa collera; imparano a farlo sentire in colpa, a rivolgersi a lui in modo villano e sprezzante. Sono spesso turbolenti, intrattabili incontrollati, impulsivi. Hanno imparato che i loro bisogni sono più importanti di quelli di chiunque altro: Anch'essi sono spesso privi della capacità di controllare autonomamente il proprio comportamento e diventano molto egocentrici, egoisti e esigenti. Questi figli spesso non rispettano la proprietà e i sentimenti altrui. La vita per loro è un continuo prendere e afferrare avidamente. Il loro Io ha la precedenza su tutti. Raramente sono servizievoli o disposti a collaborare in casa. Essi hanno spesso serie difficoltà nei rapporti con i loro coetanei che non amano la compagnia di questi figli Çviziati' trovandone sgradevole la vicinanza. Difatti, i figli cresciuti in famiglie in cui predomina il Metodo II sono talmente abituati ad averla vinta con i propri genitori che vogliono tener testa anche ai propri coetanei. Questi figli hanno anche difficoltà di adattamento a scuola, istituzione la cui filosofia si fonda in modo predominante sul Metodo I. I figli abituati al Metodo II rischiano di vivere esperienze drammatiche quando entrano nel mondo della scuola e scoprono che la maggior parte degli insegnanti e dei presidi è allenata a utilizzare il Metodo I per risolvere i conflitti e sostenuta dalla propria autorità e potere. Probabilmente l'effetto più grave del Metodo II è che i figli maturano profondi sentimenti di insicurezza riguardo all'amore dei propri genitori. è facile comprendere questa reazione se si considera quanto sia difficile per i genitori provare amore e accettazione nei confronti di un figlio che normalmente vince a loro spese. Nelle famiglie dove viene applicato il Metodo I, il risentimento si irradia dal figlio al genitore; dove invece viene applicato il Metodo II il risentimento parte dal genitore. Un figlio cresciuto con il Metodo II sente che i suoi genitori sono spesso risentiti, irritati e inquietati con lui. Quando più tardi percepisce messaggi simili dai propri coetanei e probabilmente da altri adulti, non c'è da meravigliarsi se comincia a sentirsi non amato perché, ovviamente, spesso non è amato dagli altri. Sebbene alcuni studi abbiano dimostrato che i figli cresciuti con il Metodo II tendono a essere più creativi dei figli cresciuti con il Metodo I, i genitori pagano un caro prezzo per aver allevato figli creativi perché sovente non riescono a sopportarli. Ulteriori problemi Alcuni genitori cominciano utilizzando il Metodo II, ma appena il figlio cresce e diventa più indipendente e autonomo gradualmente passano al Metodo I. Ovviamente, può essere dannoso per il figlio abituarsi ad averla quasi sempre vinta e poi cominciare a subire sconfitte. Altri genitori cominciano con il Metodo I e poi gradualmente si convertono al Metodo II. Questo accade spesso quando i genitori hanno un bambino che inizia presto a opporsi all'autorità genitoriale; gradualmente questi genitori si rassegnano e cominciano a comportarsi con i figli in modo arrendevole. Ci sono anche genitori che utilizzano il Metodo I con il primo figlio e passano al Metodo II con il secondo sperando di avere risultati migliori. In queste famiglie si sente spesso il primo figlio esprimere risentimento nei confronti del secondo, al quale si consente di farla franca con comportamenti a lui mai concessi. A volte il primo figlio pensa che ciò sia la prova che i genitori prediligono fortemente il secondo figlio. Uno dei modelli comportamentali più comuni, particolarmente tra i genitori fortemente influenzati dai sostenitori del permissivismo e dagli oppositori delle punizioni, consiste nel permettere al figlio di vincere per lunghi periodi di tempo fino a quando il suo comportamento diventa talmente odioso che i genitori ricorrono improvvisamente al Metodo I per sentirsi poco dopo in colpa fino a tornare gradualmente a impiegare il Metodo II riavviando così lo stesso ciclo. Un genitore espresse questa situazione in modo molto chiaro: "Sono permissivo con i miei figli fino a quando non riesco più a sopportarli. Dopo di che divento molto autoritario fino a quando non riesco più a sopportare me stesso". Molti genitori, tuttavia, sono bloccati sull'uso esclusivo di uno dei due metodi. Può accadere che un genitore sia, per convinzione o per tradizione, un forte sostenitore del Metodo 1. Poi scopre con la propria esperienza che questo metodo non funziona molto bene e potrebbe persino finire col sentirsi colpevole di usarlo; non gli piace sentirsi severo, autoritario e punitivo. Tuttavia la sola alternativa che conosce è il Metodo II: consentire al figlio di vincere. Intuitivamente questo genitore sa che il Metodo II non migliorerebbe la situazione, ma potrebbe perfino peggiorarla. Così egli aderisce ostinatamente al Metodo I anche di fronte all'evidenza del fatto che i suoi figli stanno soffrendo a causa di questo approccio o che la relazione si sta deteriorando. La maggior parte dei genitori che usano il Metodo II sono contrari a utilizzare un approccio autoritario perché per principio si oppongono all'uso dell'autorità con i figli o perché la loro personalità non consente loro di impiegare la forza necessaria o di fare l'esperienza di un conflitto. Ho conosciuto molte madri, e persino alcuni padri, che considerano più adeguato il Metodo II perché temono di entrare in conflitto con i figli (e di solito con qualsiasi altra persona). Piuttosto che correre il rischio di imporre la propria volontà ai loro figli, questi genitori affrontano i problemi col criterio della "pace a ogni costo" comportandosi in modo rinunciatario, facendo eccessive concessioni e arrendendosi. Il dilemma di quasi tutti i genitori che si presentano ai corsi sembra essere quello di sentirsi bloccati su uno dei due metodi o di oscillare tra i due, perché non conoscono altre alternative a questi due metodi inefficaci vinci-perdi. Abbiamo scoperto che i genitori non solo riconoscono quale metodo utilizzano più frequentemente, ma anche che ambedue i metodi sono inefficaci. E' come se si rendessero conto di essere in difficoltà, qualunque metodo usino, ma non sapessero a quale altro metodo ricorrere. La maggior parte di loro esprime gratitudine per essere stata aiutata a uscire dal vicolo cieco in cui si era cacciata da sola. Il potere genitoriale è necessario e giustificato? Una delle convinzioni più radicate è quella di ritenere necessario e opportuno che i genitori ricorrano alla propria autorità per controllare, guidare ed educare i figli. Stando alle migliaia di genitori che hanno frequentato i nostri corsi è possibile affermare che pochi di essi mettono in dubbio la validità di questa convinzione. Molti genitori adducono con disinvoltura le ragioni del loro ricorso all'autorità sostenendo che i figli ne hanno bisogno e la desiderano o che i genitori sono comunque più saggi. Frasi come "Papà sa bene cosa sia meglio per te!" rispecchiano una tendenza molto diffusa. L'ostinazione a credere che sia necessario e opportuno che i genitori utilizzino l'autorità con i figli ha, secondo me, impedito per secoli qualsiasi cambiamento o miglioramento significativo circa il modo in cui i figli vengono educati e trattati dagli adulti. Ciò è in parte dovuto al fatto che quasi tutti i genitori non comprendono cosa veramente sia l'autorità e quale effetto abbia sui figli. Essi parlano disinvoltamente di "autorità", ma pochi ne sanno dare una definizione o almeno identificarne la provenienza.

Cos'è l'autorità?

Una delle caratteristiche fondamentali del rapporto genitore-figlio è la seguente: i genitori hanno una statura psicologica più elevata di quella del figlio. Nella prospettiva del figlio, indipendentemente dalla sua età, il genitore non ha la sua stessa statura. Non mi riferisco alla statura fisica (sebbene la dimensione fisica sia un differenziale presente fino a quando i figli non raggiungono l'adolescenza), ma piuttosto alla statura psicologica. Il genitore ha quasi sempre, agli occhi del figlio, una statura psicologica maggiore, il che spiega espressioni come "Il mio grande papà", "Il capo", "Mio padre era una figura imponente nella mia vita", "Era un grand'uomo per me" o "Non mi lasciai sfuggire l'occasione per ridimensionare le figure dei miei genitori". Tutti i bambini vedono inizialmente i propri genitori come divinità. Questa differenza di statura psicologica esiste non solo perché i figli vedono i propri genitori più grandi e più forti, ma anche più sapienti e competenti. Al bambino piccolo sembra che non vi sia nulla che i genitori non conoscano o non sappiano fare. Egli è stupito dalla vastità delle loro capacità di comprensione, dall'accuratezza delle loro previsioni, dalla saggezza dei loro giudizi. Sebbene alcune di queste percezioni siano talvolta accurate, altre volte non lo sono. I figli attribuiscono ai genitori molte fattezze, caratteristiche e capacità che in realtà sono infondate. Pochi genitori hanno veramente una conoscenza corrispondente a quella che viene loro attribuita dai figli. L'esperienza non è sempre "il miglior maestro", come d'altronde il figlio comprenderà una volta divenuto adolescente e adulto e quindi in grado di giudicare i propri genitori grazie a un'esperienza personale più vasta. E la saggezza non è sempre proporzionalmente collegata all'età. Molti genitori trovano difficile ammettere questa realtà. I più onesti con se stessi riconoscono quanto esagerate siano le valutazioni dei figli su Mamma e Papà. Sebbene esistano già molti elementi che favoriscono la maggiore statura psicologica dei genitori, molte madri e padri la enfatizzano nascondendo deliberatamente ai figli i propri limiti o errori di giudizio e alimentando miti incrollabili attraverso frasi quali: "Sappiamo noi cosa sia meglio per te" o "Quando sarai più grande capirai che avevamo ragione". Mi ha sempre incuriosito osservare che quando i genitori parlano retrospettivamente dei propri genitori, ne individuano facilmente gli errori e limiti. Tuttavia contesteranno l'idea che essi stessi siano soggetti a commettere gli stessi errori di valutazione e di mancanza di saggezza nei confronti dei propri figli. Sebbene immeritatamente, essi hanno realmente una statura psicologica più grande che si traduce in un'importante fonte di potere genitoriale sui figli. Siccome il genitore è visto come "un'autorità", i suoi tentativi di influenzare il figlio hanno un peso notevole. Si potrebbe definire questo fenomeno come autorità conferita al genitore. Che tale autorità sia meritata o meno è irrilevante. Resta il fatto che è la statura psicologica a conferire al genitore influenza e potere sul figlio. Esiste inoltre un'altra forma di potere del genitore sul figlio dovuta al fatto che il primo possiede ciò di cui il figlio necessita. Si tratta del potere che il genitore ha di soddisfare i bisogni primari del figlio. I figli arrivano al mondo quasi completamente dipendenti dagli altri per quanto concerne il nutrimento e il conforto fisico. Non posseggono i mezzi per soddisfare i propri bisogni, mezzi che sono invece posseduti e controllati dai genitori. Man mano che il figlio cresce, se gli viene consentito di rendersi più indipendente dai genitori, il potere genitoriale naturalmente diminuisce. Tuttavia in tutte le età precedenti quella in cui il figlio diventa un adulto indipendente, in grado di soddisfare i propri bisogni primari quasi interamente grazie ai propri sforzi, i genitori continuano ad avere un certo grado di potere su di lui. Un ulteriore potere deriva dal fatto che il genitore, potendo soddisfare i suoi bisogni primari, può anche appagare il figlio. Gli psicologi utilizzano il termine "ricompensa" per indicare qualsiasi mezzo posseduto dal genitore (fonte di appagamento) che serva ad appagare i bisogni del figlio. Se un bambino ha fame (ha bisogno di cibo) e il genitore gli fornisce un biberon, diremo che il figlio è stato ricompensato (il suo bisogno di cibo è stato soddisfatto). Il genitore possiede anche i mezzi per provocare sofferenza o disagio al figlio sia negandogli ciò di cui ha bisogno (non nutrendolo quando ha fame) sia facendo qualcosa che gli causa dolore o disagio (schiaffeggiandogli la mano quando la protende verso il biberon del fratello). Gli psicologi usano il termine "punizione" come contrario di "ricompensa". Qualsiasi genitore sa che può controllare un figlio ricorrendo al proprio potere. Per mezzo di un attento uso delle ricompense e delle punizioni, il genitore può incoraggiare il bambino a comportarsi in un certo modo o dissuaderlo dal comportarsi in un altro. Tutti sanno, per esperienza personale, che gli esseri umani (e gli animali) tendono a ripetere comportamenti che meritano ricompense (ossia che soddisfano un bisogno) e a rifuggire o escludere comportamenti che non appagano o che addirittura causano punizioni. Così un genitore può rinforzare alcuni comportamenti del figlio ricompensandolo o frenare altri comportamenti punendolo. Supponiamo che vogliate che vostro figlio giochi con le sue costruzioni e non con i costosi posacenere di cristallo poggiati sul tavolino da caffè. Per incoraggiarlo a giocare con le costruzioni, potreste sedere insieme a lui mentre gioca, sorridergli e essere gentile dicendogli: "Sei proprio un bravo bambino". Per dissuaderlo dal giocare con il posacenere, potreste schiaffeggiargli la mano, dargli uno sculaccione, aggrottare la fronte, assumere un espressione sgradevole o dirgli: "Sei cattivo". Il bambino imparerà rapidamente che giocare con le costruzioni promuoverà un buon rapporto con il potere del genitore, mentre giocare con il posacenere lo guasterà. Ciò è quanto i genitori spesso fanno per modificare il comportamento dei figli. Normalmente viene definito educazione del figlio. In realtà il genitore usa il proprio potere per far sì che il figlio faccia ciò che lui vuole o per impedire che il figlio faccia ciò che lui non vuole. Lo stesso metodo viene utilizzato dagli addestratori di cani per insegnare loro a obbedire e dai domatori circensi per insegnare agli orsi a andare in bicicletta. Se un addestratore vuole che un cane lo segua al passo, gli pone un collare intorno al collo e comincia a camminare trattandolo col guinzaglio. Poi gli ordina: "Al passo!" Se il cane non resta vicino all'addestratore riceve uno strattone doloroso al collo (punizione). Se il cane lo segue al passo, viene accarezzato (ricompensa). In questo modo il cane impara presto a seguire il padrone al passo su comando. Non c'è dubbio: il potere funziona. I figli possono essere addestrati in questo modo a giocare con le costruzioni piuttosto che con i costosi posacenere, i cani possono essere addestrati a camminare al passo su comando e gli orsi ad andare in bicicletta o persino su monopattini. Davvero sorprendente! Quando i figli sono piccoli, dopo essere stati ricompensati o puniti un numero sufficiente di volte, possono essere controllati semplicemente promettendo loro una ricompensa se si comporteranno in un certo modo o minacciando di punirli se si comporteranno in un modo indesiderabile.

I vantaggi potenziali di questo metodo sono evidenti: il genitore non deve attendere che si verifichi il comportamento desiderato per poterlo ricompensare (rinforzare) né aspettare quello indesiderato per eventualmente punirlo (frenarlo). Infatti, dopo un certo periodo di tempo, il genitore può influenzare il figlio dicendo semplicemente: "Se ti comporti in un certo modo riceverai la mia ricompensa, altrimenti riceverai una punizione". Gravi limiti del potere genitoriale Se pensate che il potere genitoriale di ricompensare o punire (o di promettere ricompense e minacciare punizioni) possa essere un modo efficace per controllare i figli avete torto e ragione allo stesso tempo: l'uso dell'autorità genitoriale (potere) per quanto possa sembrare efficace in alcune condizioni, è alquanto inefficace in altre. Più avanti esaminerò alcuni degli effettivi rischi del potere genitoriale. Molti, se non la maggior parte, di questi effetti collaterali sono assai spiacevoli. Questo tipo di addestramento all'ubbidienza induce spesso i figli a diventare sottomessi, timorosi e nervosi; spesso si rivoltano contro i loro addestratori con ostilità e senso di vendetta; sovente crollano psicologicamente o emotivamente mentre si sforzano di apprendere comportamenti che sentono difficili o sgradevoli. L'uso del potere può sortire molti effetti dannosi e comportare numerosi rischi per l'addestratore di animali come per l'educatore di figli.

Effetti del potere genitoriale sul figlio

1 Resistenza, sfida, ribellione, sfiducia

2 Risentimento, rabbia, ostilità

3 Aggressione, ritorsione, vendetta

4 Mentire, nascondere i propri sentimenti

5 Accusare il prossimo, ingannare, spettegolare

6 Dominare, intimorire

7 Bisogno di vincere, paura di perdere

8 Cercare alleati contro i genitori

9 Sottomissione, obbedienza cieca

10 Servilismo

11 Adulazione

12 Introversione, sognare ad occhi aperti

perché si persiste nell'uso del potere per educare i figli?

Questa domanda, postami continuamente dai genitori partecipanti ai corsi, mi ha incuriosito e lanciato una sfida. E' difficile comprendere come si possa giustificare l'uso del potere nell'educazione dei figli o in qualsiasi altra relazione umana, una volta che si è riflettuto su di esso e sui suoi effetti. Lavorando con genitori, mi sono ormai persuaso che tutti, eccetto un esiguo gruppo, detestano usare il potere con i figli. Li fa sentire a disagio e genuinamente in colpa. Spesso arrivano perfino a scusarsi con i figli dopo essere ricorsi al potere. Oppure cercano di lenire il senso di colpa con le solite razionalizzazioni: "Lo abbiamo fatto solo per il tuo bene", "Un giorno ci ringrazierai', "Quando un giorno avrai dei figli, capirai perché dobbiamo impedirti di fare certe cose". Oltre ad avere sensi di colpa, molti genitori ammettono che i loro metodi non sono comunque particolarmente efficaci, specialmente i genitori di figli grandi abbastanza per cominciare a ribellarsi, mentire, dileguarsi o resistere passivamente. Sono giunto alla conclusione che i genitori hanno continuato a usare il potere attraverso gli anni perché hanno avuto ben poca, se non addirittura nessuna, opportunità nella propria vita di conoscere persone che, per influenzare gli altri, usavano metodi non fondati sul potere. La maggior parte delle persone, dall'infanzia in poi, è stata controllato attraverso il potere esercitato da genitori, docenti, presidi, allenatori, insegnanti di catechismo, zii, zie, nonni, guide scout, rettori universitari, ufficiali militari e capiufficio. I genitori, pertanto, persistono nell'uso del potere per mancanza di esperienza e conoscenza di altri metodi di risoluzione dei conflitti nelle relazioni umane.

Risolvere i conflitti senza perdenti

Scoprire di avere un'alternativa è per i genitori, bloccati dalla tradizione sui due metodi Çvinci-perdi' fondati sull'uso del potere, una vera e propria rivelazione! I genitori, quasi nella loro totalità, provano sollievo nell'apprendere che esiste un terzo metodo che, sebbene facile da capire, richiede comunque un'adeguata formazione, un periodo di pratica e un opportuno allenamento dei genitori se si desidera raggiungere un'effettiva competenza nel suo impiego. L'alternativa consiste nel metodo Çsenza perdenti' di risoluzione dei conflitti grazie al quale nessuno perde. Durante i corsi viene semplicemente denominato ÇMetodo III'. Sebbene i genitori siano notevolmente colpiti da questo metodo così innovativo per risolvere i conflitti familiari essi lo riconoscono più facilmente quando osservano quanto spesso venga utilizzato in contesti diversi. Difatti le coppie vi ricorrono frequentemente per mitigare le loro divergenze attraverso i compromessi. I soci in affari vi fanno affidamento per raggiungere accordi che moderino i loro frequenti conflitti. I sindacalisti e i dirigenti aziendali lo utilizzano per negoziare contratti vincolanti per ambedue le parti in causa. Innumerevoli contese legali sono risolte con accordi extragiudiziali raggiunti con il Metodo III, cui si conformano ambedue i contestatari. Il Metodo III è impiegato frequentemente per risolvere conflitti tra individui che dispongono di una quantità di potere uguale o relativamente uguale. Quando la differenza di potere tra due persone è inesistente o minima, ci sono validi e ovvi motivi per i quali nessuno dei contendenti tenta di usare il proprio potere per risolvere il conflitto. Usare un metodo che si regge sul potere quando non si ha vantaggio di potere, è semplicemente sciocco e ci espone al ridicolo. Posso immaginare la reazione di mia moglie se tentassi di usare il Metodo I per risolvere un conflitto che talvolta insorge quando dobbiamo decidere quante persone invitare a una festa. In genere io preferisco invitare più persone di quante lei sia disposta a ricevere. Se le dicessi: ÇHo deciso di invitare dieci coppie, non una di meno', dopo essersi ripresa dall'iniziale sorpresa e incredulità, probabilmente mi risponderebbe: "Tu hai deciso! Bene, Io ho appena deciso di non invitare nessuno! Ma che bella idea! Spero che tu ti diverta a cucinare la cena e a lavare i piatti!" Sono sufficientemente avveduto per capire quanto il mio tentativo di utilizzare il Metodo I in una situazione come questa sarebbe assolutamente ridicolo. E mia moglie ha sufficiente forza (potere) nella nostra relazione per opporsi a questo mio stupido tentativo di vincere a sue spese. Forse le persone investite di uguale, o relativamente uguale, potere (relazione egualitaria) raramente tentano di adottare il Metodo I . Se talvolta una persona ci prova, l'altra non permette comunque che il conflitto sia risolto in questo modo. Ma quando una persona pensa di avere (o è certa di avere) più potere dell'altra, potrebbe cedere alla tentazione di usare il Metodo I. E se quest'ultima ritiene di avere effettivamente meno potere, ha ben poche probabilità di non soccombere a meno che non scelga di resistere o lottare con il potere che possiede per quanto minore esso sia. Mi sembra ormai evidente che il Metodo III non si fonda sul potere o, più precisamente, è un metodo Çsenza perdenti'; i conflitti sono risolti senza vincitori né perdenti. Anzi, ambedue le parti vincono perché la soluzione deve essere accettabile per entrambe. I conflitti vengono risolti accordandosi reciprocamente sulla soluzione definitiva. I bisogni del genitore e quelli del figlio entrano in collisione. Il genitore chiede al figlio di partecipare alla ricerca comune di una soluzione accettabile. Chiunque dei due può suggerire possibili soluzioni che vengono poi valutate e analizzate in modo critico da entrambi. Alla fine si approda insieme a una soluzione definitiva accettabile per entrambi. Nessuno è costretto a svendersi una volta che la soluzione è stata scelta perché ambedue l'hanno accettata. Nessun potere è chiamato in causa per costringere l'altro ad arrendersi perché nessuno si oppone alla decisione.

Ecco come fu risolto col Metodo III secondo quanto ci è stato raccontato dal genitore: Gianna: Ciao, vado a scuola. Padre: Tesoro, sta piovendo e non hai preso l'impermeabile. Gianna: Non ne ho bisogno. Padre: Credo stia piovendo molto e mi preoccupa che tu possa rovinarti i vestiti o buscarti un raffreddore. Gianna: Comunque io non voglio indossare il mio impermeabile. Padre: Sembra proprio che tu sia decisa a non volerlo mettere. Gianna: Proprio così. Lo odio. Padre: Lo detesti proprio quell'impermeabile. Gianna: Sì, è a scacchi. Padre: C'è qualcosa che proprio non ti piace degli impermeabili scozzesi vero? Gianna: Già, a scuola nessuno ha impermeabili come quello. Padre: E tu non vuoi essere l'unica a indossare qualcosa di diverso. Gianna: Certo che no. Tutti portano impermeabili in tinta unita: bianchi, blu o verdi. Padre: Capisco. Beh, mi sembra proprio che ci troviamo in conflitto. Tu non vuoi indossare quelI'impermeabile perché è scozzese, ma io non voglio pagare la lavanderia per farti pulire i vestiti e non sarei certo contento se ti prendessi un raffreddore. Riesci a pensare a una soluzione accettabile per ambedue? Come possiamo fare in modo di contentare tutti e due? Gianna: (dopo una pausa) Forse potrei farmi prestare da mamma il cappotto che usa per andare in automobile. Padre: Com'è fatto? E' in tinta unita? Gianna: Si è bianco. Padre: Pensi che mamma te lo lascerà indossare oggi? Gianna: Vado a chiederglielo. (Torna dopo pochi minuti con addosso il cappotto bianco; le maniche sono troppo lunghe, ma le ha arrotolate). Mamma è d'accordo. Padre: Ti va bene quello? Gianna: Sì, va benissimo. Padre: Beh, credo che questo cappotto ti proteggerà dalla pioggia. Così se a te va bene, son contento anch'io. Gianna: Beh, allora ciao. Padre: Ciao. Buona giornata.

Cosa è accaduto in questo caso? Ovviamente, Gianna e il padre hanno risolto il conflitto. Questo esempio di risoluzione dei conflitti con il Metodo III portano alla luce un aspetto assai importante che in un primo momento non è sempre ben compreso dai genitori. Quando si usa il Metodo III, di solito famiglie diverse trovano soluzioni diverse al medesimo problema. Questo metodo permette di pervenire ad una qualche soluzione accettabile sia per il genitore che per il figlio, non è un metodo per ottenere un'unica soluzione universale che debba essere considerata la migliore per tutte le famiglie. Molta letteratura sull'educazione dei genitori si è orientata verso la ricerca di soluzioni; per ciascun problema tipico concernente l'educazione dei figli essa suggeriva ai genitori una soluzione prestabilita, considerata dagli esperti la migliore in assoluto.

Da questi ricettari i genitori potevano attingere le soluzioni migliori a problemi quali: I'ora di andare a letto, I'indugiare a tavola, la TV, il disordine in camera da letto, le faccende domestiche e così via all'infinito. Ritengo invece che ai genitori basti semplicemente apprendere un metodo specifico per risolvere i conflitti che possa essere adottato con figli di tutte le età. In questo approccio non esistono le soluzioni migliori adatte per tutte le famiglie o per la maggior parte di esse. Una soluzione migliore per una famiglia potrebbe non essere affatto la migliore per un'altra.

Perché questo Metodo è efficace

1 Il figlio è motivato a tener fede alla soluzione scelta

2 Soluzioni di alta qualità

3 Capacità di pensare

4 Meno ostilità, più Amore

5 Elimina la necessità di avere potere

6 Rivela i problemi reali

7 Tratta tutti come adulti

Figli da 10 a 20 anni: che fare?

Sì, recuperate il mistero

Tutto chiaro, tutto scontato. Dove sono andati a finire il mistero, la magia della vita, l'imprevisto e l'avventura? Quando i giovani non sono abituati a incontrare l'ignoto lo cercano da soli, il più delle volte confondendolo con il pericolo. Ecco, per evitare che questo accada dobbiamo aiutarli a recuperare lo spirito di avventura, stimolandoli con viaggi di ricerca che abbiano sempre un obiettivo ma che lascino spazio anche alla novità e all'imprevisto. Viaggi di scoperta, magari progettati insieme a noi ma non per forza vissuti con noi. Se vogliamo sensibilizzarli a esperienze diverse da quelle del quotidiano possiamo invece iniziare a frequentare con loro luoghi suggestivi come il Planetarium: guardare le stelle, al buio, serve a ricordarsi che facciamo tutti parte di un stesso universo.

Decidere tutti insieme

Nessuna decisione della famiglia deve farli sentire esclusi. Anche se le scelte e gli argomenti vi sembrano "da grandi". perché in realtà loro sono grandi e come tali vorrebbero essere trattati. Dopo aver esposto il problema che riguarda la vita familiare, sia essa economica che di relazione, chiedete loro cosa ne pensano, aiutandoli a formularsi un'opinione in proposito. I ragazzi hanno spesso pensieri abbozzati che necessitano di un riferimento per chiarirsi. Piccoli lavori e solidarietà Anche non retribuiti, magari a contatto con persone che hanno bisogno di aiuto, per stimolare la loro attenzione verso gli altri e per comprendere che esistono azioni senza prezzo. Basta con la logica del "risparmio a te di lavorare presto perché ho dovuto farlo io ...": piccoli e semplici lavoretti, in cui venga massa in gioco la loro manualità, servono a diventare grandi, ad assumersi piccole responsabilità, a capire che si fa fatica a guadagnare.

Ben vengano i tabù

Regole chiare e non atteggiamenti ondivaghi, di questo hanno bisogno i giovani e noi dobbiamo avere il coraggio di definire queste regole. Orari serali di rientro che vanno rispettati, divieti sull'utilizzo della macchina di papà, paghette settimanali "sensate" che devono essere ben amministrate. Insegnare ai nostri figli che non siamo né amici né tantomeno nemici, ma "un'affettuosa controparte", capace di dare dei limiti che, ricordiamoci, sono fatti per essere superati, ma solo quando è il momento giusto. No al tutto e subito "Voglio tutto e subito" e se non mi viene dato me lo prendo da solo. perché mai non dovrebbero? Dal momento in cui sanno che tutto si esaurisce qui, e che al di là di ciò che vedono non esiste nulla? Ai giovani va riconsegnato il tempo dell'attesa. L'attesa che viene esaudita, come capita per il seme piantato nella terra che dopo mesi germoglia o come il fiore che si trasforma in frutto. Dobbiamo fare in modo di trasmettergli un pensiero più "largo", che permetta loro di vedere oltre il limite del materiale.

Niente discoteca prima del 16¡?

Di per sè la discoteca è un posto come un altro, ma non possiamo fare a meno di constatare che attualmente è il luogo per eccellenza dove si respira e si assimila la psicologia del branco. Contatto privilegiato tra giovani e droghe, spazio dello "sballo" di fatto legittimato dalla collettività. Tenerli a casa è dura, ma va fatto, almeno fino a quando non avranno dimostrato di possedere una solida "impalcatura" che permetta loro di difendersi dal vuoto invece che riempirlo con quello che hanno a portata di mano. La ricchezza non è un valore! I soldi per i giovani, spesso, sono tutto. Sono un mezzo per farsi accettare, per andare avanti. Coi soldi si comprano i vestiti, quelli di moda, perché solo se hai quelli giusti sei uno "sciallato", cioé uno in gamba, uno da rispettare. La prima voce di spesa dei giovani è l'abbigliamento. Secondo recenti sondaggi la maggior parte della paghetta di ragazze e ragazzi viene immolato alla dea moda. Il resto va dritto nella macchina, griffata anche quella. Abbattere il muro del denaro, per un genitore, diventa allora un obbligo. Abituare i nostri figli all'idea che si può ricadere in nuove forme di povertà da un momento all'altro è solo raccontargli la verità. Adulti: che fare per noi stessi

Sì, stiamo da soli

Il vuoto fa parte anche della nostra vita, impossibile negarlo. Quanti di noi entrano in casa e accendono il televisore? Quanti al mattino ripetono questa stessa operazione per timore del silenzio e della solitudine? Imparare a stare da soli è l'antitesi della psicologia del branco, dove per sopravvivere serve annullare le distanze dagli altri e se non basta, calarsi nel mondo artificiale delle droghe. Se siamo capaci di fare silenzio, fuori e dentro di noi, siamo anche in grado di comunicare questa condizione ai nostri figli perché non la temano come se fosse una malattia, ma riescano a viverla anche loro con serenità.

Un libro "diverso" sul comodino

Il successo di libri come L'Alchimista o La Profezia di Celestino e la nascita di 20.000 nuovi movimenti religiosi, sono il segno di una necessità crescente di prospettive differenti in cui poter credere. Provate a tenere sul comodino un libro da sfogliare ogni sera e su cui fermarvi a meditare. A ciascuno il suo, quello che sente più vicino al proprio modo di essere. Una visita al cimitero Almeno due o tre volte all'anno, per ricordarti che vieni da lontano. Mentre ci vai riporta alla mente con piacere tutti i ricordi della tua famiglia, dagli albori a ora. Questo ti consentirà di pensare alla tua esistenza come a una continuità invece che a una somma di operazioni frammentarie. Cerca di fare così anche per la tua giornata, come se una trama, la tua, si stesse sviluppando.

Mangiamo insieme

Con il vostro partner o, se avete figli, insieme a loro. Non è necessario che accada tutti i giorni, ma quando riuscite a farlo considerate quel momento di estrema importanza. Tutte le tradizioni ritengono il momento del pasto come qualcosa di sacro, perché mangiare rappresenta uno dei luoghi fondamentali in cui ogni generazione cerca di affermare o costruire la propria identità, quindi ogni individuo può entrare in relazione con il proprio gruppo, confrontarsi ma anche scontrarsi e alla fine conoscersi. Sogniamo ad occhi aperti Sei ancora in grado di stupirti? Ti lasci trascinare dai sogni ad occhi aperti? Prova a stare mezz'ora senza fare nulla di produttivo... senza che l'operatività prenda il sopravvento.

E sogna ad occhi aperti!

Il futuro tuo e di quello dei tuoi figli dipende dai desideri che ti crescono nel cuore! Seguiamo corsi di sviluppo personale insieme Fare esperienze per ridiscutere insieme i propri ruoili e aspettative è salutare per la solidità di una coppia. Prendiamoci un pò di tempo A volte serve più qualche ora per noi stessi che una lunga vacanza

*A cura di Leonardo Milani


N.B. Il dott. Carmelo IMPERA è disponibile per incontri formativi e corsi sulla Comunicazione Interpersonale Efficace 

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